Quand'è che la storia di Cappuccetto Rosso smette di essere la storia di Cappuccetto Rosso?
Non c'è al mondo fiaba più soggetta a paratesti, riscritture e parodie; possiamo forse dire che Cappuccetto Rosso rappresenti oggi l'archetipo della fiaba stessa.
Di Zloty, albo di Tomi Ungerer recentemente riportato sugli scaffali da Camelozampa con la traduzione di Sara Saorin, si parla come di un'ennesima rivisitazione di questa fiaba, ma l'operazione compiuta dall'autore è più vicina alla citazione che alla riscrittura.
Ci sono, è vero, i quattro elementi che tutti noi identifichiamo con "quella" fiaba: una bambina, una nonna, un bosco e un lupo.
Ma l'impressione è che Ungerer, più che accompagnare il lettore su un territorio conosciuto, volesse spiazzarlo portandolo dove non se lo aspetta.
Nella prima pagina vediamo Zloty che attraversa il bosco per portare le provviste alla nonna.
Se a quel punto ci siamo fatti delle attese rispetto allo sviluppo della storia, esse vengono demolite immediatamente girando pagina.
La bambina, né sperduta né indifesa, sfrecciando tra gli alberi in scooter, investe un nano.
Un nano alto, in realtà , a cui si aggiunge presto un altro personaggio: un gigante basso. I tre, in realtà , sono tutti alti uguali.
E se a quel punto l'adulto si aspetta una riflessione sulle etichette date alle persone e su come le caratteristiche fisiche non ci definiscano, sarà ancora disatteso.
Zloty entra ora in questo mondo onirico fatto di casette a forma di fungo, capre a scacchi e piccioni a righe, e infine, riparato lo scooter, arriva dalla nonna, non prima di aver investito il lupo, che sarà curato trasformandosi in animale domestico. Dunque è questa la chiave della narrazione? Il rovesciamento tra i ruoli di buono e cattivo, di aggressore e aggredito?
Nemmeno. Già nei suoi albi sugli animali, in fondo (penso ad esempio a Crictor, Orlando, Adelaide) Tomi Ungerer ci aveva abituato ad archi narrativi doppi, se non tripli, comunque con sviluppi meno lineari di quelli classici. E così anche stavolta, quando la storia sembra concludersi, emergono ogni volta elementi nuovi, terzi rispetto a quanto visto fino a quel momento, come l'eruzione vulcanica, che appiana le diversità e rende tutti i popoli fratelli contro la catastrofe naturale.
Zloty è insomma una fiaba multidimensionale, surreale per certi versi, sicuramente ricca di elementi, suggestioni e rimandi, alcuni un po' inquietanti da ritrovare nel periodo storico attuale, come i carri armati e i riferimenti a un passato sovietico presenti nella camera della nonna, ai quali non ho saputo trovare una portata simbolica, se non un elemento di ambientazione (anche i nomi del protagonisti hanno un suono molto slavo-orientale).
Zloty però non fa mai paura, o meglio: sa stemperare la paura con la speranza. Il suo brulicare di dettagli e personaggi conserva, perfino nel bosco, un'aura positiva. Anche dove i rami si protendono come artigli sullo sfondo, a spiccare sono sempre i sorrisi dei protagonisti, i loro colori allegri, i loro tratti caricaturali, e il senso della comunità e dell'unione supera ogni calamità .
L'accumulo di cose, persone e perfino fili narrativi, si fa insomma ricchezza positiva.
L'impressione è che si possa rileggere Zloty dieci volte e ricavarne emozioni, sentimenti e pensieri dieci volte diversi.