La semplice azione di leggere a un bambino ha moltissime prospettive: quella del bambino, dell'autore, del lettore, del libraio o del bibliotecario, anche quella del personaggio.
Anche Leggero leggerò, piccolo saggio sulla lettura dello scrittore Antonio Ferrara pubblicato da Interlinea edizioni, spazia tra diversi punti di vista. Sembra quasi muoversi incessantemente, occhieggiare una volta qua e una volta là , lasciando ogni volta qualche piccolo spunto di pensiero.
E saltellando da un tema all'altro, Ferrara ci parla della profondità che anche un libro per bambini deve avere, di alcuni canoni retorici e stilistici della scrittura, di buone tecniche narrative, della rappresentazione reale o "menzognera" della realtà , con qualche capatina nelle neuroscienze, per raccontarci cosa accade nella nostra mente quando leggiamo o ascoltiamo una storia.
È un libro sulla lettura, Leggero leggerò, ma un libro sui generis, senza una solida struttura argomentativa che lo percorre dall'inizio alla fine. I brevissimi capitoli (una o due pagine) di cui è composto sembrano più delle annotazioni veloci, dei pensieri che l'autore si è voluto appuntare, ma questo volo leggero (come promette il titolo) lascia semi da far crescere e da coltivare poi nell'atto pratico di leggere, scrivere o ascoltare.
Già , perché anche il lettore implicito di questo saggio sembra multiforme: a volte Ferrara sembra rivolgersi a chi sceglie un libro, a volte al genitore che lo legge, a volte al saggista che lo critica, a volte perfino a un autore che lo scrive.
Ogni scritto è impreziosito, in apertura ma anche all'interno del testo, da citazioni eclettiche di scrittori, studiosi e personalità degli ambiti più vari, da Montale a Nabokov, da Paolo Sorrentino a Ghandi, da Virginia Woolf a Marco Malvaldi, da Hemingway a Freud.
Leggero leggerò chiede di essere letto così, come un libro di poesie in prosa o di aforismi un po' più lunghi del solito, viaggiando tra i diversi ambiti della lettura e della scrittura, alla ricerca di un senso più profondo, un senso proprio e di nessun altro.
Perché, tanto per finire con una citazione,
Calvino sostiene che sempre scrivere significhi, in fondo, nascondere qualcosa perché qualcuno possa scoprirlo.