Si è sempre stranieri, per qualcuno.
Anche nel proprio paese ci sarà sempre qualcuno a cui sembriamo estranei.
Bilù di Alexis Deacon, edito da Il Castoro, racconta questa sensazione, così forte, così dura, con cui i bambini si scontrano molto più degli adulti: lo fanno ogni volta che si ritrovano in una nuova scuola, in un nuovo gruppo, in un nuovo ambiente.
L'incipit è potente, sia dal punto di vista visivo, sia da quello linguistico.
Un'astronave incastonata nel terreno ci racconta di un incidente, e nella luce fredda dell'alba, la piccola Bilù solleva la testa, spaesata. È gialla, con tre occhi e lunghe orecchie: pochi elementi visivi ci dicono già moltissimo sulla sua identità e sulla sua storia, e le parole, sintetiche, semplici ma pesanti come macigni, completano il quadro:
Bilù non doveva trovarsi lì.
Si era persa.
La piccola extraterrestre inizia così a vagare, a trovare un posto. Si esprime in una lingua che non è la nostra. È una bambina, Bilù, e come tutti i bambini cerca la sua mamma, cerca dei suoni che le sembrano ricondurla a lei.
Ma è sola, e i suoi tentativi di trovare compagnia non vanno a buon fine, quasi sempre a causa degli umani adulti, che non accettano la sua diversità .
Gli unici ad accoglierla sono gli esseri che più le assomigliano: cuccioli e bambini, i soli ad andare oltre le apparenze, forse a non vedere nemmeno la sua diversità , i suoi tre occhi, il suo colore giallo. In fondo lei è esattamente come loro: ama giocare, e quando ha paura vuole la sua mamma.
E sarà la loro compagnia che Bilù porterà nei suoi ricordi quando finalmente troverà la strada di casa.
Bilù è un albo breve, semplice ma denso di emozioni. La piccola protagonisa conquista il lettore con il suo aspetto curioso e fragile, e gli chiede di accogliere sempre anche chi sembra diverso, perché il nostro cuore batte allo stesso modo.