Ogni tanto faccio qualche incursione nel mondo degli Young Adults, sarà che non voglio perdere il contatto con "quella" me di "qualche" anno fa, o sarà che ora ho effettivamente un preadolescente in casa (sì, quel Piccolo T al quale agli esordi del blog leggevo Piccolo blu e piccolo giallo!).
[Piccola nota: sono detti Young Adults quei libri pensati per ragazzi dai 12-13 anni in su. Si potrebbero chiamare "libri per teenager", ma chissà perché suona un po' riduttivo. Non sono libri riduttivi, non necessariamente.]
NB: questo post contiene link affiliati. Cliccando sul link e facendo un acquisto su Amazon, riceverò una piccola percentuale. Il vostro prezzo di acquisto resterà invariato. La mia opinione sul libro, invece, è mia e basta, e non ha nulla a che fare con le commissioni. ;)
Il target di L'eterno ritorno di Clara Hart (link affiliato), di Louise Finch, pubblicato da Terre di mezzo con la traduzione di Paolo Maria Bonora, è proprio questo, il che non significa che non me lo sia goduto io stessa, nonostante non sia "teen" da un po'. Sulle prime mi è dispiaciuto non averlo finito e recensito entro la giornata internazionale della donna, ma poi ho pensato che è giusto così. Perché per quanto il tema del maschilismo e della violenza di genere siano ben presenti, qui dentro c'è molto di più, e sarebbe giusto ridurlo a libro "a tema" da usare per una "giornata a tema".
Innanzitutto, L'eterno ritorno di Clara Hart (link affiliato) parla di scelte e dell'impatto che hanno sulla nostra vita. L'idea alla base è un po' quella del "giorno della marmotta": Spence, il protagonista, si ritrova a vivere da capo sempre la stessa giornata, che si conclude in modo tragico, con la morte della compagna di scuola Clara. Questa esperienza lo porterà in una spirale (non sempre lineare) di consapevolezza sia di ciò che accade attorno a lui, sia di come le proprie azioni possano influire su cià che accade.
Ma si parla anche di abusi (alcool, droghe), e di violenza sessuale, quel genere di violenza che ancora socialmente non sempre è compresa come tale. Si fa avanti parallelamente anche il tema della responsabilità, del ruolo di chi sa e può decidere di parlare o di tacere, delle battute che non sono solo battute, degli epiteti che nascondono una certa visione della donna come oggetto sessuale.
E inevitabilmente, si parla di morte, non solo quella di Clara. La giornata che Spence continua a rivivere è il primo anniversario dell'incidente che ha ucciso sua madre. E così si parla anche di dialogo e di incomunicabilità, di quanto sia difficile affrontare un lutto, sentirsi compresi, della vacuità delle frasi di circostanza che ci si sente dire, di quanto una parola più vera possa fare la differenza.
È anche un libro sull'amicizia, su cosa significhi starsi vicino, vedersi veramente, sul coraggio di rendersi conto che un amico sbaglia. È un romanzo fitto di dialoghi, non sempre riuscitissimi, a dirla tutta (non è chiaro se sia la scrittura o la traduzione a incespicare, o se semplicemente l'autrice volesse rendere la sconclusionatezza di certi scambi di battute tra adolescenti), dialoghi nei quali è evidente che non sempre parlare significa comunicare.
Non ci sono scene troppo esplicite: quella violenza così spesso evocata non è mai descritta in dettaglio, ma non per questo il romanzo fa sconti. Le parole scavano a fondo nei dilemmi, nell'etica, nel significato delle proprie azioni, nel senso di tante scelte, senza mai diventare uno scritto pedagogico. La prosa resta autentica anche quando il protagonista si dà delle lezioni di vita, perché il percorso attraverso il quale ci arriva ha ben poco di retorico e molto di reale, imperfetto, vero.
E se è vero che alla fine un messaggio resta, quello del rispetto, della trasparenza, della responsabilità delle proprie azioni, non resta per una morale detta col ditino alzato, ma perché per più di 250 pagine abbiamo cercato le risposte giuste insieme a Spence, e le risposte che abbiamo le abbiamo trovate con lui