Cliché, stereotipi, pregiudizi: sono temi di grandissima attualità in molti ambiti della cultura e della società . Rafforzata dal movimento Black lives matter, la riflessione su quanto alcuni luoghi comuni influenzino il nostro linguaggio, le nostre azioni, le nostre opere culturali, sta portando una nuova consapevolezza sull'umanità e la società .
Come tutte le grandi tendenze che diventano improvvisamente mainstream,
anche questa fondamentale riflessione ha portato però a eccessi e
radicalizzazioni nel senso opposto, derive che racconta con il suo impareggiabile sguardo satirico Davide Calì in Una storia senza cliché, un albo arricchito dalle coloratissime illustrazioni di Anna Aparicio Català ed edito da Clichy (confesso che l'assonanza cliché-Clichy mi fa sorridere e mi lascia il dubbio che Calì abbia messo una certa dose di ironia anche nella scelta della casa editrice a cui sottoporre la propria storia).
Una storia senza cliché ha un inizio molto, molto tradizionale, con un cavaliere che va a salvare una principessa.
Ma subito una seconda voce narrante ferma il racconto: "Basta con i cavalieri che vanno sempre a salvare le principesse! È un cliché sessista!". Non è dato sapere a chi appartenga questa seconda voce (e quel pizzico di straniamento dato da questo mistero aggiunge comicità all'effetto finale): è un editor che coregge lo scrittore? il narratore che corregge se stesso?
Una sola cosa è certa: si tratta di un adulto. Lo si capisce dal lessico, certo, ma anche dai cliché che utilizza nel tentativo di salvarsi dai cliché ("Le principesse sono capacissime di salvarsi da sole!").
L'albo prosegue così, con un drago cattivo che però forse non dovrebbe esserlo, un eroe che diventa eroina, ma non può vestirsi di rosa, perché non è vero che alle ragazze piace sempre il rosa, e fa la cow boy, ma non può bere il whisky, perché l'alcool, si sa, è meglio evitarlo.
Ma non sarà che, con tutti questi limiti, la storia diventa anche un po' noiosa?
Calì prende una posizione chiara contro quegli eccessi di politically correct che mettono limiti alla fiction, ed è evidente che questa riflessione trascende i confini di questo albo per posarsi sul dibattito dilagante.
La morale è chiara: anche l'eliminazione di ogni cliché può diventare un cliché.