È giusto parlare di guerra ai bambini?
È giusto parlare di qualcosa che non trova una vera spiegazione, perlomeno non nel nostro privato sistema di valori?
È giusto parlare di qualcosa che non si può capire?
Ecco, questo è il punto: non dobbiamo avere paura di parlare ai bambini di qualcosa che non capiamo. Non dobbiamo accontentarci delle risposte facili, quelle che sono solo sì o no, perché in un certo senso sono proprio quelle che portano alla guerra.
Affrontare la complessità , il punto di vista divergente, l'idea di non poter avere il controllo di ogni cosa, è una capacità che va allenata in noi adulti e coltivata nei piccoli.
E la complessità della guerra sta anche in una verità che non sempre – non a tutti – risulta immediata: non tutti coloro che fanno la guerra vogliono fare la guerra.
Dopo questa premessa, trovo che non ci sia momento migliore di questo per rileggere Il nemico. Una storia contro la guerra di Davide Calì e Serge Bloch, ed è giusto che Terre di Mezzo lo abbia riedito proprio ora, a un anno dall'inizio dell'invasione russa, quando i riflettori emotivi, se non quelli mediatici, si sono lentamente logorati e affievoliti.
La guerra, invece, quella c'è ancora, e Il nemico la racconta così, con due trincee che sono due buchi (illustrati) nella pagina.
Il campo di battaglia è un luogo immaginato, immacolato, perché di questa guerra non ci interessa scoprire territori, confini, potenze in gioco. Questa è una guerra che vediamo con gli occhi di un soldato qualunque, un soldato qualsiasi che rappresenta tutti i soldati del mondo.
Dalla sua trincea nella pagina, il soldato immagina un nemico che non conosce e non ha mai visto. Il manuale da cui ha imparato la guerra, quel manuale scritto da chi la guerra la decide ma non la fa, dice che si tratta di un mostro terribile e sanguinario, ma nella sua terribile solitudine il soldato inizia a chiedersi se davvero questo nemico sia poi così diverso da lui.
La scrittura, o meglio la sceneggiatura di Calì costruisce due mondi paralleli, evidentemente intercambiabili tra loro, dove si è "nemico" non per qualche caratteristica peculiare, ma per il solo fatto di stare dall'altra parte.
E in questo continuo gioco di specchi, le illustrazioni di Serge Bloch astraggono completamente i due soggetti dal loro contesto, per raccontarli come pensieri, immaginazione, condizionamenti, senso del dovere, paura e solitudine.
Non ci sono un soldato buono e un soldato cattivo, soltanto due persone che si ritrovano in una situazione che non hanno voluto e di cui imparano, pagina dopo pagina, a vedere l'assurdità .
Come avevo raccontato in una rassegna di libri sul tema, un anno fa, io la guerra non la so spiegare, ma Davide Calì e Serge Bloch riescono perlomeno a disegnarla e raccontarla, spogliandola di ogni "ragion di Stato" e mostrandola in tutta la sua nuda assurdità .