Vi è mai capitato, giocando o parlando con un bambino? A volte una loro domanda non è davvero una domanda, ma un desiderio di sentirsi dire esattamente la risposta che hanno in mente loro.
È uno dei motivi per cui la fase dei "perché" a volte per un adulto è così estenuante: il bambino non si ferma finché non ha la risposta che desiderava, che spesso non è quella che volete dargli voi.
È un meccanismo che in parte rivediamo in Il leone e Ellen, seguito altrettanto riuscito di Ellen e il leone, di Crockett Johnson, edito in Italia da Camelozampa con la splendida traduzione di Sara Saorin.
Anche in questa raccolta di racconti restiamo sulla soglia tra gioco, realtà e fantasia (se non conoscete il primo libro della serie, vi invito a leggere la mia recensione, ma soprattutto a leggere il libro!): Ellen non ammette mai apertamente che sta parlando a un leone di pezza, lo tratta da animale vero, ma da molte finestre il racconto lascia intravedere la sua consapevolezza di trovarsi dentro un gioco.
Questa consapevolezza arriva a picchi gradevolmente paradossali quando, nel primo racconto di questa nuova raccolta, Ellen chiede al leone di raccontarle la sua storia.
Il leone non ricorda altro che lo scaffale del negozio di giocattoli, dove si trovava quando Ellen lo aveva scelto e portato a casa, ma la bambina lo sprona a raccontare della sua vita precedente, delle sue avventure nella foresta con iene e alligatori, una storia che lui nega, e che è evidentemente Ellen a inventare per lui.
Il corto circuito è potente: è proprio il leone di pezza, che non ha coscienza, a voler ridare coscienza a Ellen, a riportarla alla realtà .
L'ambivalenza del leone prosegue lungo tutti i racconti, ad esempio nell'episodio in cui Ellen lo porta a scuola e usa la sua coda come pennello per dipingere: un gesto che non si farebbe mai con un animale vero, ma che ora i due ricordano insieme, raccontandosi l'episodio come farebbero due vecchi amici.
Il leone è compagno di giochi, ma anche capro espiatorio delle marachelle di Ellen:
""È coraggioso da parte tua prenderti la colpa" gli disse.
[...] "Sei sicuro che non ti importa?"
"Certo che non mi importa" disse il leone. "Sono coraggioso come un leone".
"Un leone di pezza" osservò Ellen.
"Sì" disse il leone. "I leon di pezza sono i più coraggiosi di tutti".
Forse ancor più che nella precedente raccolta, Il leone e Ellen si gioca sul filo tra credulità e incredulità , tra realtà e immaginazione, tra consapevolezza e voglia di restare inconsapevoli, con un effetto spesso comico, e comunque affascinante.
Ellen "usa" il leone, parla con lui nel modo in cui un bambino rivolge un "perché" a un adulto: per affremare se stessa e il suo modo di pensare, di credere, spesso anche per giustificarsi (vi ricordate? lo faceva anche Tom con Pippo, in un albo della stessa casa editrice, dedicato ai più piccoli).
Anche per noi che leggiamo il leone è vero e finto al tempo stesso, e in fondo è questo il bello di tutte le storie in cui ci immergiamo: sappiamo che è solo immaginazione, ma mentre le attraversiamo facciamo finta di no.