C'è un elemento che rende la fiaba di Hansel e Gretel diversa dalle altre: quella casetta di dolci, che non è solo un elemento magico, ma un luogo di tensioni emotive.
Noi sappiamo che quella casa è stregata, che porterà i bambini alla cattura, eppure non smette di attirarci. Non riusciamo a non vederla come qualcosa di bello, di goloso, non riusciamo a non desiderarla, a non immaginare, con un po' di acquolina in bocca, la sensazione di quei pezzetti staccati con le mani e portati alla bocca.
Non mi stupisce quindi che sia proprio Hansel e Gretel il titolo che ha dettato la svolta nella produzione di Anthony Browne, delineando la sua poetica fatta di citazioni, rimandi, dettagli che inquietano anche senza che li cogliamo consciamente.
Camelozampa ci porta in Italia questo albo, tra i primi pubblicati dall'autore inglese, che ha riscritto nel 1981 la fiaba, ambientandola in un contesto contemporaneo e arricchendola di quel sapore perturbante che gli riesce così bene.
La fiaba in sé non presenta deviazioni dall'originale (nella versione dei fratelli Grimm): la prosa ben tradotta da Sara Saorin mantiene la sua voce piana e calda delle narrazioni orali e anche l'ambientazione moderna si traduce soltanto in alcune minuzie, come l'abbigliamento anni '70 e il televisore in casa.
La fiaba in sé non presenta deviazioni dall'originale (nella versione dei fratelli Grimm): la prosa ben tradotta da Sara Saorin mantiene la sua voce piana e calda delle narrazioni orali e anche l'ambientazione moderna si traduce soltanto in alcune minuzie, come l'abbigliamento anni '70 e il televisore in casa.
Le illustrazioni di Browne riescono però a rendere vivi anche gli elementi di contesto, facendoli quasi parlare, dalla scelta delle inquadrature ai più piccoli dettagli.
Percepiamo la sofferenza della povertà nelle macchie di umidità del soffitto e nella carta da parati che si scolla. La prospettiva compressa ci evidenzia le piccole dimensioni della stanza da pranzo.
Le scelte illustrative di Browne esprimono a volte concetti dalla forte portata simbolica o dall'evidente significato nascosto: è così quando ci mostra delle scene attraverso uno specchio, o quando l'ombra della matrigna sembra indossare un cappello da strega, in un gioco di pieni e di vuoti delineato dalle tende alla finestra.
Più spesso, le tracce lasciate nelle illustrazioni non hanno un senso immediato, se non quello di lasciare delle domande aperte: la civetta che si staglia nello spazio bianco tra due alberi e che forse non esiste, i tronchi che sembrano avere volti e mani, o che prolungano idealmente, nella loro verticalità , le sbarre di una gabbia.
Sono tutti elementi che non entrano a pieno titolo nella trama, ma sollevano un fondo di mistero e di inquietudine che dà ricchezza e profondità al racconto.
(Ma come, davvero vogliamo inquietare i bambini? Io dico di sì, perché comunque c'è un lieto fine e perché è quell'inquietudine che apre mondi dentro la mente e permette di godere di una storia oltre la superficie.)