Scommetto che è capitato anche a voi di avere, nella vita, quell'amico che ai genitori non piace granché.
E anche voi avrete vissuto quella sensazione strana, di essere combattuti tra il desiderio di ribellione e rivalsa, quel bisogno di dimostrare ai genitori che avevano torto, e il dubbio tormentato che forse invece sotto sotto avessero un po' ragione.
(Le collane realizzate con biglie vintage che vedete nella foto sono della mia amica Monia di Paperart Roma, che no, non mi ha pagato per questo, ma credo meriti un po' di pubblicità ) La Ester più Ester del mondo, dello svedese Anton Bergman, pubblicato in italia da Beisler con la traduzione di Samanta K. Milton Knowles, ci porta lì, in quel confine labile su cui si cammina crescendo, tra la sensazione di essere trascinato a forza da una cattiva compagnia e quella di aver scoperto che quella parte ribelle era già dentro di te, sospesi tra la paura e il desiderio di fare qualcosa che non si fa, tra il bisogno di essere accettati e quello di essere se stessi.
Signe è una bambina normale che vive una vita normale. Si sente poco accettata e compresa dal gruppo, come capita a molti. Quando arriva a scuola Ester, una nuova bambina, a Signe si spalanca un mondo nuovo.
Ester vive in modo molto più libero degli altri coetanei: ha un telefono, le chiavi di casa, può uscire da scuola da sola. Come accade con tutti coloro che sembrano "più grandi", stare con lei dà a Signe un brivido nuovo, che è quello di essere accettata e scelta come migliore amica, ma anche quello di fare molte cose per la prima volta. È con Ester che Signe inizia a tornare a casa da sola, o ad andare a casa di qualcun altro senza i genitori presenti.
Le chiavi di casa, rappresentate da un disegno che orna ogni capitolo, sono il simbolo di un rito di passaggio, che non è mai indolore.
Signe è attratta e spaventata da Ester. Le invidia la libertà ma inizia a sospettare di lei quando scopre che le racconta piccole bugie e vivrà una forte crisi di coscienza quando Ester la trascinerà in un furtarello di caramelle in un negozio.
È evidente il contrasto tra il rapporto profondo e leale che ha Signe con i suoi genitori (quel rapporto che la aiuterà a mantenersi salda anche di fronte a situazioni di forte tormento) e l'assenza di figure adulte di riferimento nella vita di Ester, che dietro la sua sicurezza nasconde un evidente bisogno di affetto, di compagnia e di guida. Non c'è cattiveria, in Ester, soltanto la necessità di comprendersi e comprendere la vita. Il suo affetto per Signe, suggellato dal dono di una collana come segno di amicizia, è sincero e capace di superare le incomprensioni.
A raccontarlo così, mi rendo conto che La Ester più Ester del mondo sembra un romanzo pedagogico e un po' pedante, invece la straordinaria capacità narrativa dell'autore riesce a infilare questi temi e queste sensazioni in una storia coinvolgente, in cui l'analisi psicologica e la spiegazione dei comportamenti dei personaggi non emergono mai dalla superficie, ma smuovono il lettore nel profondo, emozionandolo e lasciandolo indentificarsi in personaggi credibili, multisfaccettati, profondamente umani.
L'abilità di illustratrice di Emma Adbåge (che già avevamo visto in un albo per bimbi più piccoli) esprime perfettamente, con le sue prospettive incerte, la fragilità d'animo che muove i personaggi, il calore dei sentimenti, la familiarità .
Non passa mai la sensazione della spiegazione pedante, perché le azioni si dipanano con straordinaria naturalezza, e la lettura si fa incalzante perché anche il lettore è dentro la storia, e si sente a sua volta trascinato dal bisogno di risolvere il groviglio intricato di pensieri e sensazioni che sta vivendo, lì, insieme ai personaggi.