Spesso la narrativa scava nel passato degli antagonisti alla ricerca delle radici del loro carattere maligno, delle loro attitudini antisociali, del dolore che ha generato il loro lato oscuro.
Il romanzo di cui vi parlo oggi rovescia questo paradigma, quasi a voler dimostrare che si può diventare buoni anche a partire da pessimi genitori. L'università di Tuttomio, romanzo di Fabrizio Silei illustrato da Adriano Gon, finalista al Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2018 e riedito in edizione tascabile da Il castoro, racconta la storia degli avidi coniugi Smirth, uniti dall'ossessione per il denaro e gli affari, ma soprattutto la storia del loro straordinario figlio Primo.
Così aridi e privi di scrupoli, preoccupati soltanto di ciò che può portar loro guadagno, gli Smirth ricordano un po' certi adulti cattivi di Roald Dahl, personaggi senza possibilità di redenzione (ma sarà così?). Proprio a Roald Dahl, peraltro, è intitolato il ristorante dove i due si ritrovano spesso a mangiare.
Per il puro bisogno di avere un erede per le proprie immense fortune, gli Smirth, Gregor e Katiuscia, decidono di mettere al mondo un figlio, Primo. Non si tratta di un gesto d'amore, ma di mero calcolo, cosa che non solo i comportamenti, ma anche il lessico rivolto al bambino rivelano con parecchia ironia:
"Che bambino affettuoso!", commentò mr. Johnson. "Non sapevo avesse un figlio, Mr. Gregor. [...] Quanti anni ha?"
Mr Gregor ci pensò un istante, non ricordava da quanto tempo lo avessero prodotto, così si voltò verso Primo e gli ordinò zelante: "Su, da bravo... figliolo. Dì al signor Johnson la tua età ".
Di Primo gli Smirth non si curano affatto: lo faranno crescere da una baby sitter, cercheranno di avviarlo al mondo degli affari in età precocissima e, non riuscendoci, lo manderanno in un prestigioso collegio fatto a loro immagine (e dove lo stesso signor Smirth aveva studiato), L'Università Tuttomio che dà il nome al libro.
L'università di Tuttomio, a dispetto del nome, è una scuola elementare e media, e la sua didattica è improntata alla formazione di affaristi senza morale. Motto della scuola è Mors tua vita mea.
Qui, perfidi insegnanti allenano i bambini a battersi uno contro l'altro, ma l'arrivo di Pietro Primo, col suo cuore gentile, riesce a mettere in discussione tutto, dalla dis-educazione dei bambini fino alla durezza del preside stesso.
Ingenuo quel che basta per credere nella bontà di tutti (compresi i suoi genitori), Primo opera la sua trasformazione con la forza della non violenza, una qualità spiazzante che fa leva proprio sulla ricerca, per lui spontanea e incessante, del buono in ognuno. Con il suo candore, trasformerà ogni cosa e ogni persona (o quasi).
Narrato con una sovrabbondanza di iperboli e con molti momenti genuinamente comici, fatti di fraintendimenti e confronti esilaranti, L'università di Tuttomio ha un'evoluzione prevedibile e una contrapposizione tra bene e male piuttosto manichea, ma non per questo meno gustosa.
Nonostante la spiazzante ingenuità di Primo, sono gli adulti, alla fine, a dimostrarsi i veri ingenui, perché generosità e candore si rivelano armi potenti per cambiare il mondo.