Di cani-stecco che ritornano, e hanno ancora fame.

Molto prima di imparare a scrivere, i bambini imparano a disegnare.
Quello che non imparano mai abbastanza presto, invece, è che disegnare non è una gara o una performance su cui essere giudicati, ma può essere anche, secondo lo scopo che si dà al disegno, un'attività di puro piacere, oppure uno strumento di comunicazione in cui l'importante non è creare opere d'arte ma essere capiti.


È per questo che amo Stick Dog. E anche perché anch'io, in effetti, disegno così così.

Ve lo ricordate? Vi avevo già presentato il primo titolo, Il diario di Stick Dog, un anno fa.
Ora, sempre per Le Rane di Interlinea e sempre con la traduzione di Marina Vaggi, è uscito anche il secondo capitolo della saga di Tom Watson: Stick Dog vuole un hot dog.

L'hot dog, in realtà, appare quasi solo nel titolo, perché poi, come viene specificato all'interno, per evitare bisticci di parole tra il protagonista e il panino, si parlerà sempre di "salsicciotti" (traduzione più efficace e coinvolgente del semplice "wurstel", perché contiene nel suono qualche accenno onomatopeico al gusto di morderli).

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Anche questa volta, la storia è raccontata da un bambino che non sa disegnare bene.
E mette subito le cose in chiaro:

Ancora una cosa prima di cominciare. Il fatto di non essere bravo a disegnare è una cosa che accetto e con cui convivo. Ma ho bisogno che lo accettiate anche voi. In altre parole: mettiamoci d'accordo: non mi dovete interrompere quando i disegni sono particolarmente brutti.
 

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E così, su questa carta simile a un quaderno, il bambino inizia a raccontare l'ultima avventura di Stick Dog, che ricalca da vicino la precedente.
Anche questa volta c'è un obiettivo mangereccio da raggiungere (il carretto degli hot dog), e anche questa volta gli amici di Stick Dog inventano i piani più strampalati e lui, da vero leader, sarà in grado di gratificarli senza farli sentire troppo sciocchi, e convincendoli che la loro idea è fantastica ma purtroppo irrealizzabile, quindi è meglio cercare altro.

Meravigliosa è l'ingenuità dei cani della gang, che osservano dall'esterno la vita umana, interpretandola a modo loro, con tutto il candore di chi non sa di non sapere, come quando Karen dice di essere capace di leggere le ore:

Le due. Le sette. Le cinquantatré. Le pomodoro. Tutte quante!



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Più ancora del capitolo precedente, Stick Dog vuole un hot dog è un elogio dell'inconsapevolezza, tanto che la riuscita dell'operazione non si dovrà a uno dei calcolatissimi piani del capobanda, ma a un evento del tutto casuale e inatteso.

La prosa scorre veloce tra azione e dialoghi incalzanti. I caratteri grandi stampati su righe ben distanziate sono intervallati dai disegni di un illustratore (Ethan Long, sugli schizzi dello stesso Tom Watson) che in realtà, è evidente, sa disegnare benissimo, così bene da riuscire a fingere di non saperlo fare, dimostrando così che poche linee e pochi "stecchi" possono comunicare perfettamente, anche se non si sa disegnare bene.

E voi? Avete mai provato a disegnare degli animali usando solo triangoli, rettangoli, cerchi e qualche stecco? 

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Può essere un esercizio di stile interessante per sbloccare qualche bambino insicuro nel disegno.
O qualche adulto, forse (io me la sono cavata così).


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