Leggere a un bambino è un atto di relazione.
Significa tenerlo sulle proprie ginocchia, o sedersi accanto a lui, dedicargli un momento esclusivo, donargli la propria voce, immergersi con lui in una dimensione diversa da quella reale. Qualunque genitore che abbia mai letto al proprio figlio lo ha sperimentato.
Quando il bambino è molto piccolo, però, leggere è qualcosa di più: è linguaggio, prima delle parole.
Quando nasce un bambino, uno degli aspetti che più mettono in difficoltà un genitore è la mancanza di un linguaggio comune.
L'adulto sa esprimersi con le parole per chiedere, rispondere, spiegare. E già con le parole, bisogna ammetterlo, non sempre ce la caviamo benissimo. Il bambino, no. Per il bambino il nostro linguaggio è un continuum di suoni senza senso, da cui pian piano, col tempo, riesce a estrapolare degli spezzoni riconoscibili, e dare loro un senso. E per parecchio tempo, anche dopo aver iniziato a comprendere alcune parole, la sua padronanza della lingua si ferma a una fase ricettiva: l'articolazione dei suoni e la produzione di parole intelleggibili arriveranno molto più tardi. Capisce, ma non lo sa dire.
È frustrante: adulto e bambino cercano di comunicare, ma spesso non trovano nell'altro un feedback che li rassicuri sul fatto che il loro messaggio è stato capito.
È in questa fase che la lettura ad alta voce può fare la differenza e diventare un linguaggio comune tra adulto e bambino. Il libro, e specialmente l'albo illustrato, diventa un patrimonio di simboli che i due condividono.
La corrispondenza tra significante e significato è più semplice in un libro che nella vita reale, e il bambino inizia a fare i suoi accoppiamenti tra un suono e un'immagine in modo molto più sicuro: quando la mamma o il papà arriva a quella pagina e indica quel disegno fa sempre lo stesso suono. È una ripetitività rassicurante, che insegna al bambino delle regole di abbinamento: una figura, una parola o un gesto.
È così che spesso, in questa relazione tutta da costruire, i primi segnali che ci dicono che la comunicazione funziona passano proprio attraverso il libro.
Il genitore chiede "Dov'è il gattino?" e il bimbo lo indica col dito.
Il genitore arriva a una certa pagina e il bimbo lo anticipa con il suono onomatopeico che il grande stava per leggere, o imitando il gesto che stava per fare.
Non sono ancora parole, ma sono segnali che il bambino manda per dire al genitore "Stiamo comunicando, sto capendo quello che dici". È un momento rassicurante per entrambi, in cui il bambino riesce finalmente, e con grande soddisfazione, ad entrare nel meccanismo del linguaggio simbolico, e l'adulto si rende conto che quello che legge e racconta viene recepito ed elaborato.
Molte delle prime parole, dei primi suoni o dei primi feedback gestuali emessi dai miei bimbi sono passati attraverso libri letti insieme.
Ricordo il "verso" del pesce del Piccolo T, che apriva e chiudeva le labbra quando arrivavo alla pagina corrispondente di L'uccellino fa (non sapendo ancora parlare, ha iniziato imitando un animale muto!).
Oppure lo schioccare della lingua del Piccolo D per chiedermi il biberon: un suono che mi aveva sentito fare sempre leggendo L'uccellino fa.
O ancora, il gesto della Piccola M, che ancora oggi appoggia le due dita di una mano sul dorso dell'altra per chiedermi di fare "La formica delle dita", una delle filastrocche-coccola di A fior di pelle, e tocca col suo indice il mio quando arrivo alle pagine finali di Il sogno di ditino.
È essenziale, in questa fase (a spanne, a partire dai 10 mesi fino ai 18), che i libri proposti al bambino siano adatti al suo sviluppo, che abbiamo immagini identificabili (con poco sfondo e una sola figura protagonista alla volta) e catturino il bambino con suoni onomatopeici, rime che facilitano l'imitazione e l'anticipazione, piccoli semplici movimenti che possono accompagnare la lettura coinvolgendolo anche fisicamente, come lo "ssh!" fatto col dito davanti alla bocca, una carezza, un piccolo gesto di solletico (un altro esempio? Morsicotti, che contiene almeno tre di questi ingredienti: figure ben distinte, onomatopee, solletico o pizzicotti).
È importante anche affrontare la lettura in modo dialogico, chiedendo al bambino di indicare un oggetto, rispondendo alle sue domande implicite, fatte senza parlare ma indicando col ditino una figura (i libri della topolina Pina, attorno ai 18 mesi, sono ottimi per questo genere di approccio).
È lì, attraverso le storie, le immagini, le parole, che nasce quel primo dialogo tra adulto e bambino. Un dialogo ancora privo di parole, nella lingua comune dell'immaginazione.
In questo post ho parlato di:
Significa tenerlo sulle proprie ginocchia, o sedersi accanto a lui, dedicargli un momento esclusivo, donargli la propria voce, immergersi con lui in una dimensione diversa da quella reale. Qualunque genitore che abbia mai letto al proprio figlio lo ha sperimentato.
Quando il bambino è molto piccolo, però, leggere è qualcosa di più: è linguaggio, prima delle parole.
Quando nasce un bambino, uno degli aspetti che più mettono in difficoltà un genitore è la mancanza di un linguaggio comune.
L'adulto sa esprimersi con le parole per chiedere, rispondere, spiegare. E già con le parole, bisogna ammetterlo, non sempre ce la caviamo benissimo. Il bambino, no. Per il bambino il nostro linguaggio è un continuum di suoni senza senso, da cui pian piano, col tempo, riesce a estrapolare degli spezzoni riconoscibili, e dare loro un senso. E per parecchio tempo, anche dopo aver iniziato a comprendere alcune parole, la sua padronanza della lingua si ferma a una fase ricettiva: l'articolazione dei suoni e la produzione di parole intelleggibili arriveranno molto più tardi. Capisce, ma non lo sa dire.
È frustrante: adulto e bambino cercano di comunicare, ma spesso non trovano nell'altro un feedback che li rassicuri sul fatto che il loro messaggio è stato capito.
È in questa fase che la lettura ad alta voce può fare la differenza e diventare un linguaggio comune tra adulto e bambino. Il libro, e specialmente l'albo illustrato, diventa un patrimonio di simboli che i due condividono.
La corrispondenza tra significante e significato è più semplice in un libro che nella vita reale, e il bambino inizia a fare i suoi accoppiamenti tra un suono e un'immagine in modo molto più sicuro: quando la mamma o il papà arriva a quella pagina e indica quel disegno fa sempre lo stesso suono. È una ripetitività rassicurante, che insegna al bambino delle regole di abbinamento: una figura, una parola o un gesto.
È così che spesso, in questa relazione tutta da costruire, i primi segnali che ci dicono che la comunicazione funziona passano proprio attraverso il libro.
Il genitore chiede "Dov'è il gattino?" e il bimbo lo indica col dito.
Il genitore arriva a una certa pagina e il bimbo lo anticipa con il suono onomatopeico che il grande stava per leggere, o imitando il gesto che stava per fare.
Non sono ancora parole, ma sono segnali che il bambino manda per dire al genitore "Stiamo comunicando, sto capendo quello che dici". È un momento rassicurante per entrambi, in cui il bambino riesce finalmente, e con grande soddisfazione, ad entrare nel meccanismo del linguaggio simbolico, e l'adulto si rende conto che quello che legge e racconta viene recepito ed elaborato.
Molte delle prime parole, dei primi suoni o dei primi feedback gestuali emessi dai miei bimbi sono passati attraverso libri letti insieme.
Ricordo il "verso" del pesce del Piccolo T, che apriva e chiudeva le labbra quando arrivavo alla pagina corrispondente di L'uccellino fa (non sapendo ancora parlare, ha iniziato imitando un animale muto!).
Oppure lo schioccare della lingua del Piccolo D per chiedermi il biberon: un suono che mi aveva sentito fare sempre leggendo L'uccellino fa.
O ancora, il gesto della Piccola M, che ancora oggi appoggia le due dita di una mano sul dorso dell'altra per chiedermi di fare "La formica delle dita", una delle filastrocche-coccola di A fior di pelle, e tocca col suo indice il mio quando arrivo alle pagine finali di Il sogno di ditino.
È essenziale, in questa fase (a spanne, a partire dai 10 mesi fino ai 18), che i libri proposti al bambino siano adatti al suo sviluppo, che abbiamo immagini identificabili (con poco sfondo e una sola figura protagonista alla volta) e catturino il bambino con suoni onomatopeici, rime che facilitano l'imitazione e l'anticipazione, piccoli semplici movimenti che possono accompagnare la lettura coinvolgendolo anche fisicamente, come lo "ssh!" fatto col dito davanti alla bocca, una carezza, un piccolo gesto di solletico (un altro esempio? Morsicotti, che contiene almeno tre di questi ingredienti: figure ben distinte, onomatopee, solletico o pizzicotti).
È importante anche affrontare la lettura in modo dialogico, chiedendo al bambino di indicare un oggetto, rispondendo alle sue domande implicite, fatte senza parlare ma indicando col ditino una figura (i libri della topolina Pina, attorno ai 18 mesi, sono ottimi per questo genere di approccio).
È lì, attraverso le storie, le immagini, le parole, che nasce quel primo dialogo tra adulto e bambino. Un dialogo ancora privo di parole, nella lingua comune dell'immaginazione.
In questo post ho parlato di:
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