Uno dei grandi rischi della comunicazione online è la riduzione di un argomento a slogan.
Chi legge si abitua a non riflettere sulla complessità delle cose, a prendere posizione in modo polarizzato, ma anche a non mettersi in gioco, pensando che un "like" o una condivisione possano essere sufficienti.
È un'abitudine che sta prendendo piede in molti adulti, ma è ancora più pericolosa nei bambini, che in questo mondo, con questa tipologia di trasmissione delle informazioni, sono nati e stanno crescendo.
"No alla plastica" è forse lo slogan più frequentato negli ultimi tempi.
Ma chi lo usa sa cos'è la plastica? Sa perché viene utilizzata? Sa cosa significa, nel concreto, quel "no"?
Un pianeta pieno di plastica, di Neal Layton, da poco pubblicato da Editoriale Scienza, racconta con chiarezza e semplicità tutto quello che gira attorno a questo slogan: cosa viene prima, cosa viene dopo, cosa ci sta attorno.
Primo passo: riconoscere la plastica attorno a sé. Il che non è affatto scontato: siamo tutti abituati a usare gli oggetti senza porci tante domande.
Il messaggio passa attraverso semplici esempi illustrati, grazie ai quali scopriamo cose che non per tutti sono scontate, ad esempio che anche i tessuti in nylon e in microfibra sono di plastica.
Secondo passo: capire da dove arriva la plastica, e perché è così diffusa.
Il linguaggio è sempre allegro, le illustrazioni colorate, il tono accattivante, il che rende molto più efficace la trasmissione delle informazioni, semplici ma rigorose.
Terzo passo: capire dove stia il problema. Con un'efficace commistione di fotografia e illustrazione, Un pianeta pieno di plastica descrive cosa significhi "non essere biodegradabile" e che conseguenze possa avere tutto questo per l'ambiente.
Le immagini sottomarine, che illustrano i pericoli per la fauna oceanica, riescono ad essere drammatiche senza per questo essere paurose, e danno concretezza a tante parole sull'argomento.
Last but not least: capire cosa fare, perché manifestare in piazza o mettere un like sui social media non basta.
Ecco allora che, con esempi pratici e immediati, Un pianeta pieno di plastica spiega cosa significhino, nel concreto, le tre "erre": ridurre, riutilizzare, riciclare.
E va oltre, accennando alle ricerche e al lavoro di chi, nel mondo della ricerca, sta cercando nuove soluzioni a questo problema: un modo per raccontare la scienza e scoprire il suo lato creativo, la sua capacità di pensare oltre gli schemi.
Un pianeta pieno di plastica è diretto, concreto, leggero nel trattare un argomento serissimo. E no: quest'ultimo punto non è affatto un controsenso, perché è ben noto ormai che una narrazione terroristica non faccia altro che alzare le barriere di chi la riceve, rendendo il messaggio inefficace.
La plastica non è una catastrofe di fronte alla quale non possiamo fare nulla: è un problema che siamo in grado di affrontare e risolvere, facendo ognuno la propria parte.
La consapevolezza è sempre la base di partenza più importante per promuovere il cambiamento. Ecco perché trovo importante imparare a distinguere i materiali degli oggetti che ci circondano: un'operazione che normalmente non siamo portati a fare, se non quando dobbiamo scegliere in che bidone gettarli.
E così ho pensato a come rafforzare questa capacità con una semplice attività, naturalmente a impatto zero. Si parte da una rivista (io ho usato un celebre catalogo di arredamento) e si ritagliano le foto degli oggetti che vi si trovano.
Si preparano poi etichette per ogni materiale: plastica, vetro, legno, metallo, ceramica.
Si appoggia l'etichetta a un contenitore e si invita il bambino a suddividere gli oggetti secondo il materiale di cui sono fatti. L'attività può essere facilmente trasformata in una sfida tra due o più bambini.
Alla fine del gioco, i ritagli vanno nella carta, mentre i contenitori, di qualunque materiale siano, andranno riutilizzati. ;)
Chi legge si abitua a non riflettere sulla complessità delle cose, a prendere posizione in modo polarizzato, ma anche a non mettersi in gioco, pensando che un "like" o una condivisione possano essere sufficienti.
È un'abitudine che sta prendendo piede in molti adulti, ma è ancora più pericolosa nei bambini, che in questo mondo, con questa tipologia di trasmissione delle informazioni, sono nati e stanno crescendo.
"No alla plastica" è forse lo slogan più frequentato negli ultimi tempi.
Ma chi lo usa sa cos'è la plastica? Sa perché viene utilizzata? Sa cosa significa, nel concreto, quel "no"?
Un pianeta pieno di plastica, di Neal Layton, da poco pubblicato da Editoriale Scienza, racconta con chiarezza e semplicità tutto quello che gira attorno a questo slogan: cosa viene prima, cosa viene dopo, cosa ci sta attorno.
Primo passo: riconoscere la plastica attorno a sé. Il che non è affatto scontato: siamo tutti abituati a usare gli oggetti senza porci tante domande.
Il messaggio passa attraverso semplici esempi illustrati, grazie ai quali scopriamo cose che non per tutti sono scontate, ad esempio che anche i tessuti in nylon e in microfibra sono di plastica.
Secondo passo: capire da dove arriva la plastica, e perché è così diffusa.
Il linguaggio è sempre allegro, le illustrazioni colorate, il tono accattivante, il che rende molto più efficace la trasmissione delle informazioni, semplici ma rigorose.
Terzo passo: capire dove stia il problema. Con un'efficace commistione di fotografia e illustrazione, Un pianeta pieno di plastica descrive cosa significhi "non essere biodegradabile" e che conseguenze possa avere tutto questo per l'ambiente.
Le immagini sottomarine, che illustrano i pericoli per la fauna oceanica, riescono ad essere drammatiche senza per questo essere paurose, e danno concretezza a tante parole sull'argomento.
Last but not least: capire cosa fare, perché manifestare in piazza o mettere un like sui social media non basta.
Ecco allora che, con esempi pratici e immediati, Un pianeta pieno di plastica spiega cosa significhino, nel concreto, le tre "erre": ridurre, riutilizzare, riciclare.
E va oltre, accennando alle ricerche e al lavoro di chi, nel mondo della ricerca, sta cercando nuove soluzioni a questo problema: un modo per raccontare la scienza e scoprire il suo lato creativo, la sua capacità di pensare oltre gli schemi.
Un pianeta pieno di plastica è diretto, concreto, leggero nel trattare un argomento serissimo. E no: quest'ultimo punto non è affatto un controsenso, perché è ben noto ormai che una narrazione terroristica non faccia altro che alzare le barriere di chi la riceve, rendendo il messaggio inefficace.
La plastica non è una catastrofe di fronte alla quale non possiamo fare nulla: è un problema che siamo in grado di affrontare e risolvere, facendo ognuno la propria parte.
La consapevolezza è sempre la base di partenza più importante per promuovere il cambiamento. Ecco perché trovo importante imparare a distinguere i materiali degli oggetti che ci circondano: un'operazione che normalmente non siamo portati a fare, se non quando dobbiamo scegliere in che bidone gettarli.
E così ho pensato a come rafforzare questa capacità con una semplice attività, naturalmente a impatto zero. Si parte da una rivista (io ho usato un celebre catalogo di arredamento) e si ritagliano le foto degli oggetti che vi si trovano.
Si preparano poi etichette per ogni materiale: plastica, vetro, legno, metallo, ceramica.
Si appoggia l'etichetta a un contenitore e si invita il bambino a suddividere gli oggetti secondo il materiale di cui sono fatti. L'attività può essere facilmente trasformata in una sfida tra due o più bambini.
Alla fine del gioco, i ritagli vanno nella carta, mentre i contenitori, di qualunque materiale siano, andranno riutilizzati. ;)
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