Bada a come posti.

Quando internet viaggiava sui modem a 56k, c'era la netiquette: bastava evitare di scrivere in maiuscolo, non fare spam scrivendo più volte lo stesso messaggio, non andare OT (off topic) e poco altro.
I social network non esistevano e per pubblicare una foto dovevi collegare al computer la macchinetta digitale, scaricarla sull'hard disk e poi fare l'upload: non una procedura particolarmente agile e invitante.



Poi sono arrivati gli smartphone, e Facebook, e tutti quei luoghi e quelle tecnologie che hanno cambiato il volto della rete, offrendo nuovi servizi e nuove opportunità, ma anche aprendo la strada a nuovi pericoli, non solo materiali.
Al giorno d'oggi, la prima protezione da dare ai bambini e ai ragazzini per andare online, prima ancora che tecnologica, deve essere psicologica. Se da un lato è importante capire l'infrastruttura che sostiene la rete, per comprendere il mezzo che si sta usando, con tutte le sue implicazioni, è altrettanto fondamentale essere preparati a una serie di meccanismi sociali e psicologici nuovi e diversi dall'esperienza offline.

Penso, parlo, posto. Breve guida alla comunicazione non ostile, inizia proprio da qui: non da regole tecniche, da linee guida o istruzioni, ma da una guida all'introspezione, valida non solo per la comunicazione online, ma per la vita.
Prima di comunicare, è importante chiedersi chi siamo (facile a dirsi!), cosa sentiamo, cosa vogliamo dire. Solo avendo chiari in testa questi presupposti potremo scegliere come comportarci.


Penso, parlo, posto è pubblicato da Il castoro nell'ambito delle iniziative di Parole O_Stili, associazione no profit che ha lo scopo di diffondere la cultura di una comunicazione positiva e non ostile in rete, e dalla quale nasce il Manifesto della comunicazione non ostile, pubblicato nelle prime pagine di questo libro: un decalogo fondamentale che va oltre l'utilizzo di uno strumento digitale e si può applicare a ogni ambito della vita e della comunicazione interpersonale.


È a partire da questo manifesto che gli autori, Carlotta Cubeddu e Federico Taddia, articolano i capitoli del libro, ognuno dedicato a una delle dieci "massime".

Ogni argomento è affrontato con piccoli racconti in prima persona, situazioni concrete, ben calate nella realtà degli adolescenti e dei preadolescenti di oggi, colti nel loro privato e nella loro vita pubblica, sul web: un ragazzo bannato da un gruppo per aver espresso un'opinione, un "contest" tra youTuber, un amico fissato con i selfie, la pirateria, la condivisione di fake news e così via.

Il metodo espositivo è interessante: prima del racconto, un box introduce gli (S)Punti interrogativi: domande che guidano il ragazzo ad affrontare la lettura ponendosi delle domande.


Alla fine del racconto, un altro box propone dei pensieri e delle reazioni a quanto letto.
Attenzione: il box non dice cosa il ragazzo dovrebbe pensare! Prova invece a esprimere alcune possibili sensazioni che potrebbero emergere, alcune opinioni su quanto letto. Non a caso, alcune delle frasi sono anche in contraddizione tra loro: persone diverse potrebbero pensarla diversamente (e non necessariamente uno dei due ha ragione e l'altro torto).


La forza di Penso, parlo, posto è proprio in questo approccio maieutico: il libro non dice mai cosa un bambino dovrebbe fare o pensare, e nemmeno come dovrebbe pensare.
Dà degli stimoli, degli strumenti per sviluppare un pensiero autonomo.

In coda a questi episodi raccontati c'è naturalmente una breve spiegazione di alcune dinamiche, con alcune raccomandazioni, a volte di natura legale, a volte di natura psicologica, sempre dettate dal buon senso. Ma il clima generale di questo saggio è sempre aperto alla libera scelta e alla libera riflessione sulle motivazioni e le conseguenze delle proprie azioni (o non azioni).

Un'ottica ammirevole, che a volte rischia però di peccare di eccesso di astrattismo: senza "dettare" ai lettori cosa dovrebbero scrivere, non avrei disdegnato qualche esempio concreto di frase posta bene o posta male (ad esempio, per far capire la differenza tra mettere in discussione una persona o le sue idee).

Ad alleggerire la lettura, le illustrazioni di gud, che a volte strappano un sorriso, a volte riescono a trasmettere sensazioni che le parole da sole non riuscirebbero a fare con altrettanta efficacia.


Viviamo in un mondo in cui il virtuale è sempre più reale e presente nelle nostre vite.
Negarlo ai bambini sarebbe una lotta contro i mulini a vento, e non avrebbe nemmeno molto senso, perché significherebbe privarli di strumenti che, se usati bene, possono essere cruciali in molti aspetti della vita.
L'unica soluzione è insegnare loro la capacità di discernere, di pensare, di capire, di scegliere.
Sono i nostri figli il futuro del mondo, e sono loro a poterlo rendere migliore, anche attraverso la rete.

Penso, parlo, posto è questo, come ben spiega nell'introduzione: il tentativo di

cambiare il mondo, una parola alla volta.



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